Come riuscire a spiegare a un non baarioto cos’ha significato nella vita di ciascuno di noi un posto del cuore come Don Ciccio?
Don Ciccio continuerà la sua storia, ma senza il sorriso di Don Santo che ti accoglieva mentre già pregustavi il tuo uovo da accompagnare religiosamente con il bicchierino di zibibbo.
Ci sono posti che smettono di essere semplicemente luoghi e diventano parte integrante del nostro vissuto, come se fossero il palcoscenico in cui quel teatro dei pupi che chiamiamo vita si svolge sotto scimitarre di luce. Sono puntelli nella memoria, nella terra natia, lì dove le geometrie dei miei ricordi tracciano traiettorie in cui c’è ancora l’edicola di Pippo Bonura nel corso, a pochi metri dalla carnezzeria di Enzo Casa, dove c’è ancora il signor Mineo a sfornare pizze e moffoletti giusto in tempo per la ricreazione. Questi luoghi sono bastioni saldi contro l’oblio, come l’emporio dei fratelli Lanza e la sempiterna pubblicità dell’Anice Tutone che campeggia sulla loro facciata, come i mostri di Villa Palagonia. Tu pensi che sono lì e sempre lì resteranno, saldi mentre tutto scorre via.
Per la mia famiglia ogni ricorrenza andava festeggiata degnamente da Don Ciccio, sperando che non cadesse nel giorno di chiusura settimanale, o spostandone opportunamente la festa all’indomani. Sì, i ricordi più belli sono a scacchi bianchi e rossi come le loro tovaglie. Da Don Ciccio eri certo di tornare a casa con un sorriso a trentadue denti, ripensando trasognato agli involtini di pesce spada e alla tunnina ammuddicata. Ma era quando andavi a pagare e Don Santo troneggiava lì alla cassa, rendendo indimenticabile pure il momento in cui saldavi il conto, accompagnandolo con due chiacchiere che scaldavano il cuore. E se avevi un ospite importante non avevi dubbi: era il locale di Don Santo il luogo prescelto.
La storia di Don Ciccio continuerà, ma una certa idea di Bagheria è un po’ più povera, perdendo uno dei suoi protagonisti, una di quelle persone che senza alzare mai la voce entrano saldamente nei cuori di tutti quelli con cui hanno condiviso un pezzo della loro storia. Per me non c’è “scinnuta” in Sicilia senza una tappa obbligata da Don Ciccio, dove Don Santo era una magnifica e discreta presenza. Se un paradiso c’è, deve avere per forza lo stesso profumo che si respira da Don Ciccio: di caponata e di sarde a beccafico, di cannoli e frutta al vino mandorlato, dove non può mancare quel bicchierino di zibibbo che al solo pensiero già ti fa sentire meglio.







