E’ pesante la condanna per la lupara bianca di Andrea Cottone, l’imprenditore di Villabate scomparso nel novembre 2002, a Ficarazzi. Il Tribunale di Palermo ha condannato all’ergastolo Michele Rubino, Onofrio Morreale e Nicola Mandalà.
Cottone sarebbe stato strangolato e il corpo sciolto nell’acido.
La sentenza è stata emessa dal giudice per l’udienza preliminare Maria Pino. In un altro processo, celebrato con il rito ordinario, sono imputati Ignazio Fontana, Giuseppe Comparetto e Carmelo Bartolone che risponde della sola accusa di soppressione di cadavere. Ad inchiodare i 3, sono stati quattro pentiti:- Mario Cusimano, Stefano Lo Verso, Sergio Flamia e Francesco Campanella. I quattro hanno ricostruito le fasi dell’omicidio.
Cusimano ha detto che la fase preparatoria in cui Biagio Picciurro e Salvatore Pitarresi (allora alla guida di una cosca di Villabate rivale del clan Montalto di cui faceva parte la vittima) negarono il via libera per l’omicidio. A quel punto sarebbero stati scavalcati. Nicola Mandalà, che dopo l’arresto dei Montalto aveva preso il potere Villabate e dintorni, si sarebbe fatto autorizzare da Bernardo Provenzano.
L’uomo incaricato di fare da esca per convocare Cottone all’appuntamento con la morte sarebbe stato Lo Verso che con la vittima condivideva alcuni interessi economici.
Cusimano collocò l’omicidio all’inizio della stagione invernale ricordando un particolare: Cottone aveva addosso 4 mila euro in contanti e un assegno da sette mila euro. Soldi che Cusimano e Rubino, in parte, avrebbero utilizzato per comprare capi di abbigliamento firmati in una nota boutique del centro di Palermo. Sarebbe stato poi Mandalà a trasportare il corpo di Cottone nel luogo dove sarebbe stato sciolto nell’acido: “Ezio Fontana mi aveva detto che era stato in un deposito di marmo, all’inizio di Bagheria”. Confidenza che Fontana gli avrebbe fatto mentre erano “un poco brilli, un poco tirati”. Campanella aggiunge che Cottone era uno che dava fastidio “si stava allargando troppo, rompeva le scatole… va in giro, va dicendo, va facendo”.
E così sarebbe scattata la trappola che Lo Verso disse di conoscere bene perché vi partecipò in prima persona. Non sapeva cosa stesse per accadere e probabilmente anche lui è scampato alla morte. Ebbe la fortuna che un uomo, casualmente sul posto, lo avesse visto e salutato. E per evitare guai Lo Verso sarebbe stato risparmiato. Il collaboratore di giustizia ha riferito di avere convocato Cottone al minigolf-pizzeria di Ficarazzi per discutere di alcuni furti subiti “perché Andrea cercava il muletto che gli avevano rubato a Enzo Lombardo, un muletto nuovo… a me mi avevano rubato la casa, ad Andrea gli avevano rubato che aveva all’entrata di casa sua due leoni messi, che dice che è un simbolo di potere, si presero questi leoni e se li portarono… a casa a Villabate”.
Poi, scese nei macabri particolari: “Io a Michele Rubino lo conoscevo da vecchia data ma in quell’occasione quando sono entrato e l’ho visto che lui lo teneva per un braccio e l’altro per un altro braccio, mentre il Morreale c’era di sopra, io non l’ho riconosciuto, perché lui aveva, aveva questi capelli buttati tutti in avanti, tutto vestito di nero… successivamente quando c’è stata poi una mangiata alla fattoria di Spera, il Comparetto mi disse: non l’hai riconosciuto? Ci dissi: ma a chi? A Michele. Ed Ezio Fontana era coi capelli tagliati, che poi l’ho riconosciuto”.
Infine, arrivò il racconto di Sergio Flamia, l’ultimo dei pentiti di Bagheria, raccolto dai pubblici ministeri Francesca Mazzocco e Caterina Malagoli: “Io sono uscito dal carcere, in una di queste passeggiate nel corso con Onofrio Morreale, non ricordo come va a finire il discorso su Andrea Cottone, c’era presente Giuseppe Comparetto, Carmelo Bartolone e mi sembra mio cugino Pietro pure… si vota Onofrio: un curnutu era, nuatru fuomu ad affucallu, un curnutu”.
(notizie tratte da livesicilia.it)