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venerdì 29 Marzo 2024

venerdì 29 Marzo 2024

Al tempo del Coronavirus. “Eterna quarantena” di Clara Benfante

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6 minuti

di Clara Benfante

Ancora una volta, in questa interminabile e noiosa quarantena, mi ritrovo davanti ad un bivio: che fare di questa nuova giornata? Come posso renderla differente nella sua monotonia?

Questi dubbi e mille altri pensieri, ogni giorno, invadono la mia testa “Come sul capo al naufrago l’onda s’avvolge e pesa”, come se questi avessero un innato bisogno di essere trascritti per poi, un domani, essere ricordati come la cristallizzazione di un brutto sogno del passato… ma pur sempre un sogno.
Recentemente una persona, a me molto cara, mi ha detto che l’ispirazione per qualsiasi cosa la trovi dentro ciò che ti dà un’emozione. Senza emozioni, infatti, l’anima e la mente sono vuote.
Moltissime sono le cose che mi potrebbero ispirare in questi giorni: “i sintomi dell’amore che sono simili a quelli del corona virus” (il colera è troppo antiquato), il cielo azzurro della primavera (tanto atteso), il poster del “bacio di Klimt” appeso sopra il mio letto e… invece no!
Stranamente, ho trovato ispirazione in un piccolo pezzetto di carta: il numerino di attesa per la fila al supermercato.
Un’ora e mezza di fila, un bigliettino in mano e la solita noia delle attese sono state le muse ispiratrici di una nuova riflessione.
È bastato un solo numero, 00, per ricollegare la mia mente al concetto dell’Eterno ritorno dell’uguale.
Magnifico il numero 00! non bisogna fare la fila al supermercato! si ha la sensazione di avere in mano l’inizio di una nuova giornata, l’inizio di tutto  in realtà.
Inconsciamente pensiamo che tutto debba aver avuto una sua origine, un incipit, uno zero da cui si possono susseguire gli altri numeri … fino a quando, però, non riflettiamo sull’esistenza dei numeri negativi e della infinita retta che non ha né un inizio né una fine.
I numeretti dell’attesa al supermercato, il tempo “relativo”, anche la stessa quarantena e la situazione che stiamo vivendo non sono altro che un ripetersi continuo di momenti già vissuti, un eterno ritorno dell’uguale, un serpente che si morde la coda.
L’eterno ritorno dell’uguale è una delle teorie filosofiche più belle perché rimanda alle concezione della ciclicità del tempo (l’uroboro) ma anche alla visione stoica dell’universo che rinasce e muore continuamente.
Nietzsche ha riportato questa sua teoria in quasi tutte le sue opere, per rimarcare, forse, l’idea che la concezione lineare del tempo, così come lo intendiamo noi , non esiste : “!tutte le cose diritte mentono (…)ogni verità è ricurva , il tempo stesso è un circolo” (Friedrich Nietzsche, “Così parlò Zarathustra”). Purtroppo, però, per quanto interessante possa essere questa teoria, la ciclicità non fa per noi!
Non riusciamo a comprendere il concetto di circolarità dobbiamo avere sempre un punto di inizio da cui partire, il paziente zero nel caso in questione!
Non ci accorgiamo, invece, che tendiamo sempre a ripetere nel presente le stesse azioni del passato e che, inevitabilmente ,saranno il riflesso del futuro.
Siamo inconsapevoli dell’attimo, hic et nunc , l’unico lasso  di tempo che dovremmo concepire e che  Nietzsche, ancora una volta , descrive splendidamente: “guarda questo attimo! da questa porta carraia che si chiama attimo, comincia all’indietro una via lunga, eterna: dietro di noi è un’eternità”.
Eternità! che parola!
Il concetto di eterno, di infinito, per quanto ci sforziamo  non possiamo definirlo, non possiamo nemmeno comprenderlo: cosa è eterno? La morte? Le giornate in quarantena? Il tempo? le ore passate a studiare?
Ma se la stessa definizione di eternità è oscura persino per la Treccani (definisce l’eternità come un’infinita estensione del tempo che non ha  né un inizio  né una fine), come possiamo capire la teoria di Nietzsche? Non siamo “l’oltreuomo”!
È pur vero però che, se da un lato la concezione di eterno ci affascina, dall’altro ci spaventa: non sappiamo cosa veramente sia, siamo travolti dal terrore di cadere in “un abisso orrido e immenso” dell’indefinito e allora ci aggrappiamo alla sua semplice concezione senza avere però una rappresentazione chiara di cosa possa  effettivamente essere.
È “l’amor fati” (l’amore del fato) l’atteggiamento che tutti dovremmo imparare ad assumere , l’atteggiamento dell’uomo (oltreuomo) che accetta gioiosamente il destino al quale non può sottrarsi, senza pensare a come modificarlo, cogliendo l’attimo e sperando il meno possibile nel domani “carpe diem, quam minimum credula postero”.

 

 

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