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lunedì 9 Settembre 2024

lunedì 9 Settembre 2024

Ritrovato a Bagheria nel 1986, l’altare di Gagini ristrutturato è ora allo Spasimo a Palermo

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altare spasimo
6 minuti

E’ tornato al suo posto l’antico altare realizzato da Antonello Gagini nel 1516, che era stato ritrovato a Bagheria, nel 1986.
L’altare era stato commissionato a Raffaello da Girolamo Balisicò, per la cappella nel complesso degli Olivetani di Palermo.
E ci sono voluti ben 34 anni, per rivederlo montato. L’altare fa da cornice alla riproduzione dell’opera di Raffaello “Spasimo di Maria Vergine” che si trova al museo Prado di Madrid.
L’altare in marmo di Carrara è costituito da due colonne alte 3,30 metri, ricche di soffici grappoli intarsiati , che reggono una trabeazione, anch’essa a motivi vegetali, conclusa da un classico timpano che nello spazio interno accoglie un altro decoro.


Eppure l’altare è legato a filo doppio a Bagheria.
La storica dell’arte Maria Antonietta Spadaro, lo ritrovò infatti nel giardino di villa San Cataldo, smontato in 50 pezzi, nel 1986.
La storica dell’arte ne ha seguito le vicende senza mai arrendersi, fino a quando un complesso e attento lavoro di anastilosi curato dall’architetto Paolo Porretto del Comune di Palermo hanno restituito l’elegante immagine originaria dell’altare, nell’attesa che completo dello Spasimo di Sicilia venga collocato nella Cappella Basilicò dello Spasimo in procinto di essere restaurata.

“Tutto inizia con la decisione del ricco giureconsulto Jacopo Basilicò di patrocinare i lavori di una chiesa – racconta Spadaro – dedicata al dolore della Madonna per il figlio crocifisso, lo Spasimo, appunto, cui la moglie era molto devota. Il complesso doveva ospitare anche un altare, commissionato al Gagini, e un dipinto che viene affidato all’artista allora più ricercato in Europa, Raffaello, ingaggiato a Roma da papa Giulio II. Quando Raffaello termina l’opera ‘Lo Spasimo di Palermo’ è il 1517 e il dipinto viene spedito in nave alla volta della Sicilia. La nostra città aveva uno stretto legame commerciale con Genova e, considerato l’ingombro della tavola, circa 2 metri per 3, occorre venga imballato in un certo modo, operazione per la quale è necessario il supporto specializzato dei genovesi”. Ma quella nave col Raffaello a bordo naufraga, dando il via al primo di una lunga serie di intoppi.

Del naufragio niente e nessuno dell’equipaggio si salva, tranne la tavola di Raffaello che, incapsulata, arriva alle coste genovesi. I liguri vogliono trattenere il dipinto.

Nel frattempo lo Spasimo non era più un convento ma il primo teatro di Palermo, poi trasformato in magazzino del Senato, infine in lazzaretto e ospizio.
I monaci intanto erano andati via portando con sé gli arredi, compreso il Raffaello e l’altare.

Il re di Spagna Filippo IV vuole a tutti i costi quel Raffaello e incarica il suo viceré in Sicilia, don Ferdinando d’Ayala di sottrarlo a Palermo.

E così il dipinto arriva così in Spagna, all’Escorial, nel 1661.

L’opera dopo varie vicissitudini arriva al museo del Prado, dove si trova tutt’ora.


Intanto l’altare viene acquistato dai Gesuiti per metterlo nella loro chiesa del Collegio massimo al Cassaro, quel complesso che oggi comprende anche il Convitto nazionale. L’area della chiesa corrisponde all’attuale androne della biblioteca centrale della Regione.

Nel dopoguerra tra bombardamenti e restauri necessari le opere vengono trasferite.
La storica dell’arte Maria Antonietta Spadaro scopre che il Museo nazionale diventa archeologico Salinas, molte opere moderne vengono portate nel restaurato Palazzo Abatellis, e l’altare del Gagini, “enorme, che non rientra né tra le opere moderne dell’Abatellis né in quelle archeologiche del Salinas, viene restituito nuovamente ai Gesuiti che lo scompongono per portarlo a Bagheria, a Villa San Cataldo, con uno splendido giardino barocco. Ricomincio le ricerche in archivio, fino a quando trovo, tra le immagini della Sovrintendenza di Palermo, una cartella dimenticata con su scritto: ‘chiesa del collegio dei Gesuiti’. Un’illuminazione”.

La Spataro aggiunge “era la chiesa che aveva ospitato l’altare, e che mi consente di ricostruire la disposizione delle colonne e le decorazioni. Parlando con i Gesuiti capisco che devo andare a Bagheria, dove mi trovo di fronte a una serie enorme di frammenti sparpagliati e misti ai marmi di altre chiese. Grazie al supporto e ai disegni di un gruppo di colleghi dell’università inizio a tracciare i rilievi dei pezzi esistenti facendo riferimento alla foto ritrovata che diventa una sorta di bussola. Era il 1986, ora finalmente, dopo tante promesse, arriva il restauro di quei cinquanta pezzi, a cinquecento anni dalla loro realizzazione”.

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