“Le carceri sono pieni di anime e non solo di corpi”. A sostenerlo è Totò Cuffaro che ha presentato il suo libro “l’uomo è un mendicante che si crede un re” nel salone conferenze di villa Villarosa scritto nei 5 anni in cui è stato in galera. “Il carcere cambia la vita -ha aggiunto- Spezza il fiato”.
Appena arrivato nella villa settecentesca è stato accolto da vecchi amici di partito.
A fare gli onori di casa è stato Nicolò Benfante presidente dell’associazione Opera Italia, divisione territoriale Sud.
Benfante nel suo intervento ha parlato della situazione carceraria in Italia sottolineando che “mentre un suino ha a disposizione 6 metri quadrati, un carcerato ne ha a disposizione appena 2 metri e mezzo. Benfante ha aggiunto che in Italia “non è contemplato l’ergastolo anche se la fine pena per alcuni detenuti è fissata nel 9.999”.
Massimo Cocchi accademico dei Georgofili e presidente della società italiana di biologia sperimentale ha relazionato su “il suicidio: una chiave di lettura molecolare”.
Ha aggiunto che in carcere ogni anno si verificano 60 suicidi di detenuti e almeno 10 di poliziotti.
Un applauso lungo e intenso ha accolto Cuffaro che ha incentrato il suo intervento sulla sua esperienza in carcere, raccontando alcuni episodi del periodo trascorso a Rebibbia.
Cuffaro ha esordito dicendo di se “sono un ex detenuto. E lo sarò per tutta la vita. Vorrei tenere a precisare che non bisogna dimenticare che dentro il carcere ci sono persone con sentimenti. Ma spesso vengono dimenticati. Lo Stato si dimentica delle persone che sono lì dentro. La pena non dovrebbe essere punitiva o vendicativa, ma rieducativa. Ma il carcere italiano non lo è. Spesso si esce carichi di astio perché non c’è rieducazione. Si dice che in Italia non c’è la pena di morte ma nelle nostre carceri il numero dei suicidi è maggiore rispetto ai paesi dove esiste la pena di morte. Il nostro è un paese ipocrita”.
Cuffaro parla a braccio in un silenzio irreale. Parla della sua esperienza e delle condizioni in cui è sottoposto a vivere un carcerato.
“si possono fare solo 2 telefonate a settimana. Io non ho potuto parlare con mia madre quando è morto mio padre. Questa non è rieducazione. Ho conosciuto un ragazzo condannato a 7 anni di carcere perché aveva compiuto una rapina a mano armata e l’arma era una bomboletta spray. Ho conosciuto una persona che era in carcere da 30 anni e doveva uscire dopo 4 mesi. Un giorno si è suicidato. Avevo parlato con lui la sera prima. Forse si è suicidato perché aveva paura della libertà. Il carcere deve umanizzarsi. E a chiederlo deve essere la società. Non bisogna dimenticare che dentro il carcere ci sono anime e non solo corpi”.
Cuffaro parla anche dei piccoli gesti di umanità cui ha assistito.
“Il carcere ti cambia la vita. Ti spezza il fiato. Ma non ti ruba l’amore che hai per le persone che ami. Io sono stato un detenuto fortunato. Ho ricevuto 100 libri e 15 mila lettere. Ma non è per tutti così. Occorrono motivazioni per viverre. E io l’ho avuta nello scrivere. Scrivendo quello che pensavo era un modo per rimanere legato agli amici che stavano fuori. Era un modo per stare vivo”.
Al termine dell’incontro molti gli applausi, i baci e le strette di mano.
L’incontro con Totò Cuffaro è stato insolito. Chi se lo ricordava nelle vesti di Presidente della Sicilia che catalizzava voti e potere, ha trovato un uomo che ha parlato soprattutto dei 5 anni trascorsi in carcere, un periodo che ha consegnato un uomo diverso. Un uomo che forse ha detto addio definitivamente al Cuffaro politico.