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giovedì 28 Marzo 2024

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I cosi ca vi cuntu. “U palluni s’arruccò”. di Anna Citta

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Anna Citta
3 minuti

Mi chiamo Anna Citta e sono una docente di Lingua e Letteratura Inglese. Vivo a Porticello, un piccolo borgo marinaro. Ho due grandi passioni: il mare e il dialetto siciliano. Da circa 10 anni mi interesso di tradizioni popolari e di detti tipici del nostro dialetto, usi e costumi, proverbi e altro. Il mio è uno studio senza fine, una grande passione che coltivo nel tempo libero. Penso che studiare una lingua sia il modo giusto per entrare nella vita della gente, per capire i sentimenti di un popolo e il loro modo d’essere, per sentirne gli odori, i sapori e conoscere il dolore della gente. Per questo amo la Sicilia e la sua sicilianità.

“U Palluni s’arruccò”

Comu si rici in italiano “u palluni s’arruccò”? Me lo chiedeva una signora jorna fà. Nuatri, per spiegarla buona a cuosa, usiamo questo verbo quando vogliamo dire che la palla è andata a finire oltre una cancellata, oltre un muro alto, accussi àvutu che è impossibile recuperarla. Di solito arruccato, participio passato di arroccare, significa posto in posizione elevata e difensiva proprio come una rocca. Il siciliano fortifica di più il concetto e quindi l’arruccata del pallone diventa una condizione dell’anima che soffre, se picchì dovete sapiri che quannu s’arruocca u palluni, avviene un attimo di sgomento, ci si sente persi. Cosa dicono i picciotti per strada: “minchia u palluni s’arruccò”!
Cuomu si tutta la loro vita finisse in quell’istante. Succirieva quasi sempre, e lo sapevamo, ma la sofferenza era sempre la stessa. Stesso punto di arroccatina, stesso amico sfurtunatu, ca alle volte scippava puru lignati. E si parrava, i ragazzi ci ravanu u riestu!
Tutti lo sapevano che prima o poi la palla s’avieva arruccari, era una premonizione. E c’era sempri u baiccuni ra vicina di casa, acida, ma u palluni pari ca u sapieva, s’arruccava sempre lì.
La signora non solo non te lo dava, ma minacciava anche ri tagghiaritillu. Si putissiru parrari i supersantos! Tutti chi tiesti tagghiati. Ma u juocu finiva male per il malcapitato che arruccava la palla. E uora cuomu ucamu? La fine del gioco era rappresentata dall’arruccamientu, tranni quannu c’era il bambino coraggioso che si arrampicava sui tetti e sulle grondaie, attipo succi.
Ecco allora si ricominciava a ghiucari.
Era un leggero dolore che all’improvviso si tramutava in adrenalina pura.
Unni sunnu chiù sti picciriddi?

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