Steinnata ri chi cuòsa vi parru?
L’estate sta passannu, c’è picca i fari, settembri ava arrivari.
Noi siamo abituati a queste temperature calde, mancu nni fannu mprissiuoni. E come tutte le cose che ci appartengono, ci mittièmu puru u cavuru.
Per noi il calore è fonte di vita, sarà per questo che emaniamo passione e vitalità da tutte le parti. E a proposito di calore, steinnata vi parru del cibo arrustutu e di come noi siciliani viviamo questa cosa. Anche se le temperature superano i 40 gradi, l’arrustuta per noi è un vero e proprio rituale. Il siciliano lo distingui dal fumo della tannura, hai mai visto un milanese c’arrusti?
Oggetto del nostro desiderio è la ‘tannura’ e per i più affezionati ‘tannuriedda’. Considerato dal siculo un oggetto sacro per il culto del cibo, nzamaddiu non ce l’hai nel corredo matrimoniale! Si tratta di un fornello a carbone, piccolo barbecue, realizzato quasi sempre in ferro, spesso accompagnato dalla ‘rarigghia’, chiamatela così e non griglia picchi il siculo maschio si offende. Il nome della ‘tannura’ probabilmente deriva dall’arabo ‘tannūr’.
Ma l’etimologia conta poco, è più la sua funzione a destare il nostro interesse. Potremmo dire che stiamo parlando del più antico forno del mondo. Ma picchì vu staiu riciènnu? Che divertimento per noi le domeniche, non c’era la noia, non avevamo neanche il tempo per lamentarci. La domenica mattina c’era la fila nella piazzetta dove sono nata. Insomma se unu addumava scendevano i vicini e portavano i loro callozzi di salsiccia, carni impanate, spitini, un mancava niente.
“Ma chi ffa cucì mi fai arrustiri? Sunnu sulu sei cadduozza i sasizza e qualche fettina.” – Rispondeva l’amico: “ca cièittu, cu tuttu u cuori, mièttiti a turno.” Arrivava pure la Za Pippina con la carne panata. U ciavuru si espandeva per le viuzze strette, la fila continuava. “Vossia gradisce un pizzuddu?” – “ No la ringrazio asinnó senza pani a sasizza mi fa acitu.”
Tutti insieme nel quartiere ad aspettare. E non non vi dico i fumi, i cristiani manco si vedevano, parieva nebbia in Val Padana. Il vicino sceso per prima, “minchia sa facièva ri cuissa”, quasi quasi truppicava con le salsicce in mano. Tutti insieme nel quartiere ad aspettare. Le chiacchiere, le voci si sentivano quasi a confonderci e pian pianino si disperdevano nelle stratuzze, poi all’improvviso silenzio. Ognuno tornava a casa sua con un po’ di carne, qualche callozzo di sasizza e un po’ di vita. E’ bella la vita in Sicilia, siamo tutto e siamo soprattutto fedeli a noi stessi. Tanto per discorrere un po’, ma mi sentu china china! Baciamu li manu!
Anna Citta è una docente di Lingua e Letteratura Inglese. Vive a Porticello, un piccolo borgo marinaro. Ha due grandi passioni: il mare e il dialetto siciliano. Da circa 10 anni Si interesso di tradizioni popolari e di detti tipici del nostro dialetto, usi e costumi, proverbi e altro. Il suo è uno studio senza fine, una grande passione che coltiva nel tempo libero. Pensa che studiare una lingua sia il modo giusto per entrare nella vita della gente, per capire i sentimenti di un popolo e il loro modo d’essere, per sentirne gli odori, i sapori e conoscere il dolore della gente. Per questo ama la Sicilia e la sua sicilianità.
