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venerdì 29 Marzo 2024

venerdì 29 Marzo 2024

La Bagheria dei tempi passati attraverso gli occhi dei viaggiatori. Jean Houel, 1776

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houle libro
19 minuti
Continuiamo con la pubblicazione dei resoconti di viaggio di alcuni viaggiatori che sono venuti a Bagheria dal 1700 al 1900.
I testi sono tratti dal libro “Bagheria fra mostri e viaggiatori” di Martino Grasso, pubblicato nei mesi scorsi. Il libro racchiude i testi di circa 150 viaggiatori soprattutto del nord Europa.
Dopo il resoconto di Patrick Brydone, scrittore e studioso di scienze fisiche scozzese, arrivato a Bagheria il 28 giugno 1770, pubblichiamo il resoconto del viaggiatore francese Jean Houel, pittore paesaggista e incisore.
Nato a Rouen nel 1735 e morto a Parigi nel 1814.
Dopo gli studi di architettura e prospettiva nella sua città e di pittura e incisione a Parigi, incominciò a lavorare come pittore a Parigi. Nel 1769 ottenne una borsa di studio dal governo francese e si recò a Roma. Venne a Bagheria nel 1776 dove assistette anche alla pesca del tonno.
E’ suo il disegno più famoso di Villa Palagonia che ritrae l’arco del Padre Eterno e il viale costellato da statue/mostri.

“Finalmente arrivai alla Bagaria, dove feci una sosta per riposarmi. Uno dei miei campieri, che per tanto tempo aveva osservato il mio desiderio di vedere tutto, mi propose di portarmi al casino del principe di Palagonia: il portiere era suo amico, poteva visitare il palazzo in tutti i particolari.

Accettai volentieri la proposta: erano solo le sette del mattino, avevo tempo d’avanzo per arrivare a Palermo, che dista appena dodici miglia. Non ignoravo che quel Casino era molto famoso: passava per essere la raccolta più confusa, più stramba, più bizzarra, e anche più ridicola, che mai sia stata messa insieme in alcune parte del mondo. Ero preparato a vedere una cosa mostruosa al massimo; eppure ciò che avevo immaginato era ben inferiore alla realtà; e credo che il lettore si stupirà leggendo la descrizione, nonostante io abbia cura di avvertirlo.

Il casino del principe di Palagonia
Resta da sapere come faccia un uomo ad avere una passione che tanto lo allontani dalle idee degli altri, come ci si possa decidere a spendere somme enormi per compiere un’opera che verrà biasimata da tutti: come ci si opponga ai consigli degli intenditori, alla censura dei critici, alle raffigurazioni degli artisti; come niente riesca a correggere, a mutare il modo di pensare, a far deviare dalla strada sbagliata una volta imboccata. Perché qui non si tratta di un errore, di una luce falsa; è un partito preso di non imitare nulla, anzi di fare tutto il contrario di ciò che è prescritto dal buon gusto, dalla ragione, dall’ordine e dalle regole d’arte. Il casino del Principe di Palagonia

Il casino è un grande padiglione quadrato, situato tra due cortili, dei quali il primo è a ferro di cavallo, il secondo quadrato. Si accede al primo cortile mediante un lungo viale ben tracciato. Ma non è formato da alberi, bensì da piedistalli così disposti: tre piccoli tra due grandi e collegati tra loro da una balaustra. Sui piedistalli grandi ci sono gruppi di figure e di animali, su quelli piccoli ci sono dei vasi sovraccarichi di decorazioni. I piedistalli grandi sono alti da quattro a cinque metri.  Soggetti dei gruppi sopra i piedistalli sono tratti dalla storia, dalle favole o dai romanzi, oppure da scene di società quali: concerti, danze, giochi, esercizi di abilità, ecc.

In mezzo al viale c’è una grande piazza circolare decorata con lo stesso gusto bizzarro. Vasi, figure, animali, tutti sono concepiti secondo un medesimo stile. Le figurine di legno o di gesso che vendono a Parigi sul Pont-Neuf sono fatti da mani meno inesperte.

Tutte le cose che la terra, il mare e l’aria producono, uomini, quadrupedi, uccelli, pesci o piante, anche quelle che crescono nei climi più disparati, si trovano qui accostate o mescolate insieme senza ordine, senza scelta e senza gusto. Il centauro, la sfinge, la chimera, tutte quelle pazze fantasie di pittori o di poeti, non si avvicinano neppure alle forme strane impresse alle figure e ai gruppi che ornano il viale.

Il principe si è divertito a moltiplicare i mostri unendo nella stessa figura la forma umana con ali di uccelli, con coda di pesce, con membra di quadrupedi, con la proboscide dell’elefante, con le zanne del cinghiale, con gli artigli dell’avvoltoio, con la coda della scimmia e della volpe; e per paura che questa mescolanza non fosse abbastanza bizzarra, vi ha aggiunto abiti originali, maschere, armature, strumenti da guerra, da musica e da caccia. E non si deve dimenticare che tutte queste cose sono tanto male ideate quanto male eseguite; le rende ancora più mostruose il livello scadente della fattura.
All’ingresso del viale è collocato un grande arco di trionfo: è formato da tre arcate accanto alle quali si ergono quattro figure enormi che rappresentano dei soldati vestiti alla spagnola e sembrano vietare l’accesso. Tali figure sono quasi grandi come il San Cristoforo della Cattedrale di Parigi. Sul frontone che sovrasta l’edificio, nel punto più alto, è stata posta una figurina della vergine e due angeli che però non sono proporzionati ad essa. I due angeli sono inginocchiati a destra e a sinistra della Madonna.

Dopo essere passati sotto quell’arco e avere risalito quel viale così lungo e singolare, si giunge al cortile del castello, le cui mura di cinta sono piene di figure d’ogni genere: si vedono vasi e animali, statue di uomini e di donne, busti e teste, frammenti antichi uniti a pezzi moderni. La base del muro per tutta la lunghezza è guarnita di cocci cosparsi d’ogni sorta di oggetti. A sinistra l’armatura di una gabbia ornata di una graticola circondata e copre un pozzo privo di acqua. A sinistra c’è una fontana da cui dovrebbe uscire un getto d’acqua; ma non esce niente. Il pozzo e la fontana sono bordati di vasi di forma allungata, sovraccarichi di decorazioni di pessimo gusto.

Tutto intorno al castello ci sono panche perché si possano sedere coloro che hanno la curiosità di contemplare a lungo quell’ammasso confuso e informe. I muri del castello sono coperti di bassorilievi, di iscrizioni, di cui alcune rovesciate. Nel muro sono incrostati dei vasi, dei frammenti, ma sempre in modo completamente contrario alle regole stabilite. Per esempio l’autore mette le ali alla statua della Vergine e le mette al contrario agli angeli. Colloca un busto maschile su un corpo femminile. Tutto è in questo stile. Le più belle statue marmoree si sprecano, o meglio si prostituiscono. Non vi è neppure un angolo che non abbia la sua decorazione: i particolari sarebbero infiniti.

Si sale a questo casino, palazzo o castello, che somiglia più all’abitazione di un negromante che alla dimora di un Principe, mediante una scalinata doppia che si congiunge alla porta del vestibolo. Di qui, da qualsiasi parte si giri lo sguardo, si vedono i contrasti più mostruosi, più orripilanti e più numerosi.
La vista di tanti oggetti incoerenti stanca più di quanto si creda e non procura alcun piacere atto a compensare così grande fatica.

L’interno del Casino
Ci si accorge subito che il padrone di casa ha usato un gusto più raffinato e maggior cura per decorare l’interno della sua abitazione. Per esempio, quando era occupato ad ammobigliare gli appartamenti, fece fare a Palermo minuziose ricerche di tutte le cornici per quadri dorate che si potevano reperire, liscie o scolpite, opache o brunite: la forma, le dimensioni, il genere, lo stile, gli importavano poco; intere o rotte, a pezzi grossi o minuti, tutto andava bene; comprò tutto e adoperò tutto. Con non minore attenzione ha cercato tutti gli specchi piccoli o grandi, tutti i vetri spessi o sottili, interi o rotti; apprezzava soprattutto i pezzettini di cristallo dei lampadari, a forma di fiori o di palme, oppure tagliati a diamante; gli piacevano molto i frammenti di vetro o di specchio che avevano qualche disegno o qualche incisione. Raccoglieva anche le porcellane, le ceramiche, le varie terraglie che imitavano le une o le altre; lacche vere o false; quadri, busti di marmo; stoffe, frange d’ogni specie, tutti gli servivano. Il suo genio veramente eccezionale seppe, come vedremo più avanti, sfruttare tutti quei brandelli. Diede loro una nuova vita, adoperandoli per usi fino allora sconosciuti.

L’anticamera presenta subito un ammasso confuso di sedie, tavoli, piedistalli, busti, quadri mediocri e brutti, statue che non valgono più. Nella seconda anticamera a sinistra, sono stati incollati sulle modanature dei pannelli delle porte dei filetti di vetro. Per togliere la vista del ferro, si sono coperti i cardini con minuscoli frammenti di specchio, di cristallo, di perle, di vetri colorati sfaccettati. I vetri delle finestre sono a quadretti, secondo l’uso del paese; ma perché non mancasse  anche l’impronta del padrone, fece mettere da una parte un grande riquadro azzurro, composto di quattro piccoli, dall’altra due riquadri rossi, sopra altri di colore diversi e tutti di grandezza disuguale.

Nella sala accanto, la medesima confusione di mobili, di piedistalli, di quadri: i soffitti sono a volta e formati da grandi pannelli riempiti di pezzetti di cornici di quadri, alcune scolpite, altre lisce; tutte differenti e di legno dorato. Tutti questi frammenti disposti disordinatamente luccicano e abbagliano gli occhi. Quando non si riusciva a sistemarli in modo che coprissero tutto il soffitto, si colmavano gli interstizi con lustrini o carta dorata.

I pannelli delle porte sono coperti di pezzettini di cristallo o di specchio d’ogni genere, uniti insieme o contornati: i vuoti sono riempiti con pezzi di finto cristallo o vetro. Gli stipiti sono ornati con filetti di specchio tagliato a festoni e con tubi di barometro.

Le tavole di marmo hanno per decorazione pagode d’ogni genere, mostri di porcellana come se ne fanno in Cina e in Giappone, piramidi fatte o con tazze da caffè, o con piattini, o con ciotole, o con caffettiere, o con bollitori, tutti attaccati insieme o capovolti; la colla è tale che non si può assolutamente staccare un pezzo senza romperlo; in queste piramidi o colonne, alte da settanta a novanta centimetri, vi sono delle porcellane bellissime.

Dopo avere attraversato parecchie sale decorate allo stesso modo, si arriva alla cappella, dove i santi e la Vergine non sono trattati con maggior riguardo degli oggetti profani, tutto è fuori posto: dovunque presiedette il medesimo genio.

Di qui si passa nel salone da ricevimento, di forma semicircolare. La prima cosa che colpisce entrando è la disposizione dei sedili. Ci sono due semicerchi, uno a destra e uno a sinistra della porta d’ingresso; ma i due semicerchi sono disposti in senso contrario, in modo che le persone sedute in un circolo voltano la schiena a quelle sedute nell’altro. Ci sono sedie e poltrone talmente inclinate in avanti, che non potendovi stare per il proprio peso bisogna fare degli sforzi per non scivolare e cadere.

La seconda cosa che stupisce è la forma dei lampadari: ce ne sono a uno, a due, a tre e qualcuno anche a quattro piani, fatti con piedi di bicchieri, colli e anse di bottiglie rotte, tubi di barometro; e come pendenti vi sono appesi flaconi grandi e piccoli, di ogni forma e colore, compresi quelli bianchi. I candelabri sono fatti nello stesso stile e con gli stessi materiali infilati in un grosso filo di ottone.

Vicino a quel salone, per rallegrare le idee, c’è un busto di marmo, grande al naturale, che rappresenta una testa di donna, pettinata in modo mirabile, ma da una parte sola, l’altra metà è una testa di morto.

Pare che al principe piaccia molto lo splendore, perché le volte delle stanze più belle sono completamente ricoperte di specchi grandi e piccoli, accostati gli uni agli altri e tenuti da viti. Questi specchi sono tutti mescolati e disposti con più abilità di quanto parrebbe richiederne un gusto così depravato: quando ci si colloca al centro della camera ci si vede, ma capovolti, in mille punti del soffitto. Dappertutto e con la stessa profusione sono stati sparsi i frammenti di specchio e di vetro tagliato, le figurine grottesche come si usano nel paese, le statue, i mostri di ogni genere. Si può immaginare quello che si vuole di eteroclito, non ci si avvicinerà alla verità.

In quel momento stavano lavorando a finire un salone più ampio degli altri. La volta grandissima è tutta piena di pezzi di specchio. Un cornicione di marmo circonda il soffitto e borda le pareti, che sono ornate da grandi medaglioni posti tra pilastri il cui fondo pare di diaspro o di marmo e invece sono solo dei pezzi di vetro bianco sotto i quali si è dipinto il diaspro o il marmo che si voleva imitare. Dà abbastanza l’illusione: l’idea non sarebbe cattiva, se il marmo fosse imitato meglio.

Oltre alla cappella, che, secondo l’uso locale, è situata di solito nella camera da letto, c’è anche una chiesetta. E’ fuori dal padiglione, in uno dei cortili. Il genio stravagante che ha decorato il palazzo ha decorato anche la chiesa: qui tutto è bizzarro; mi limiterò a notare che c’è un crocifisso in rilievo attaccato per tutta la lunghezza al soffitto e in fondo è collocato un San Francesco a tutto tondo, con la testa all’insù come se cercasse di baciare i piedi del Cristo. E’ sospeso per il capo in posizione perpendicolare proprio ai piedi del Cristo nell’atteggiamento di un uomo in ginocchio; ha le mani giunte e una corda che gli passa tra le ginocchia pende un lampadario che finisce di rendere ridicola quell’accozzaglia di oggetti eterogenei, la cui descrizione alla lunga annoierebbe il lettore tanto quanto il vederli mi aveva stancato: ma nella mia qualità di storico non potevo fare a meno di parlare del palazzo più originale che esista al mondo e già famoso in Europa a forza di stranezze.

Non ho mai avuto una stanchezza più insopportabile di quella che provai dopo avere visto e visitato accuratamente quel castello: i sensi sono così poco abituati a oggetti tanto straordinari, che trovai il massimo dei piaceri a sfuggirli come se fossero contagiosi e funesti per il gusto.

Presi in fretta la via di Palermo, passando ai piedi del Monte Grifone, nel luogo chiamato Santo-Cristo, a tre miglia dalla capitale, dove la storia narra che esistesse un tempo una Naumachia. Quello che ne rimane non lo dimostra molto, ma nemmeno dimostra il contrario.”

Tratto da “Bagheria fra mostri e viaggiatori” edizione Plumelia. 308 pagine. 16,50 euro. In vendita preso le librerie e le edicole di Bagheria

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