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sabato 20 Aprile 2024

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Natale e il mare

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10 minuti

padovanodi Maurizio Padovano

Stavamo coi piedi mezzi affossati sulla battigia, la ghiaietta con il suo incessante andirivieni ci mordeva i talloni e si ammonticchiava tra le dita. Davanti a noi un’unica squama rilucente sotto il sole del mezzogiorno. Un tratto qualsiasi del litorale di Capo d’Orlando, con Villa Piccolo alle spalle, immersi nel frastuono fatto di risacca  e del brontolio schizoide delle radioline disseminate come mine acustiche su tutta la spiaggia. Una domenica di agosto di venticinque anni fa. Un grecale leggero increspava il pelo dell’acqua ed entrambi fissavamo una boa arancione, distante non più di centocinquanta metri dalla riva, andare su e giù come la testa di un annegato. Ci guardammo negli occhi e io gli chiesi, con un cenno della testa, se se la sentiva di arrivare fin lì. Non avevo idea dell’impudenza che mi ero appena consentito. Si illuminò di un sorriso sornione, l’ampia cornice dei baffi candidi espansa come una corona sulle guance arrossate. Guagliò, se ce la fai vienimi appresso. Si tuffò senza darmi il tempo di replicare e così fui costretto ad arrancargli dietro.
natale-tedescoGià allora mi era noto che quando Natale parlava napoletano stava entrando nella sua personale macchina del tempo. Il napoletano era tornare agli anni della sua giovinezza, anni di studio e di impegno politico, in un’Italia che leccandosi le ferite lasciatele addosso dalla storia recente, finalmente repubblicana, scommetteva sulla propria capacità di diventare una democrazia matura e compiuta. Mentre lo vedevo distaccarmi di qualche decina di metri verso la boa, pensai che lui in quel momento doveva sentirsi a Posillipo, in una di quelle mattinate di sole, tuffi e belle ragazze di cui mi aveva  raccontato.
Un tempo sospeso e incantato che non aveva a che fare soltanto con la sua personale memoria della giovinezza andata: lo avrei scoperto – ne avrei percepito l’aura – molti anni dopo in alcuni racconti di Raffaele La Capria e della Ortese. Intanto però io ero lì sul litorale orlandino, aggrovigliato nel mediterraneo, e col mio sfidante che aveva già toccato la boa e adesso mi veniva incontro a bracciate lunghe e regolari.
Forse lui stava nuotando dentro la memoria della sua giovinezza, e il gareggiare improvviso lo aveva acceso di un agonismo a lungo sopito – la molla oscura che rende irripetibili certe prodezze di gioventù. Guagliò, nun si cosa, mi sibilò scivolandomi davanti. E fu una sferzata di energia. Cominciai a darci dentro a più non posso, sollevando spruzzi e schiuma come un fuoribordo.
Raggiunsi finalmente la boa anche io e mi sforzai a un inseguimento impossibile: le mie bracciate continuavano a sollevare un putiferio, lui scivolava come un delfino a pelo d’acqua, e apparentemente senza sforzo. Arrivai sfinito a riva, dove lui già da qualche minuto mi attendeva soddisfatto. Mi tirai su che mi tremavano le gambe per la fatica. Cercai di dissimularla, ma non credo di esserci riuscito. Con uno di quegli slanci di generosità del sentimento che avrei imparato a conoscere, mi abbracciò.
Ricordo come fosse ora l’odore dei nostri corpi bagnati e salmastri. Guagliò, a studiare sei bravo, ma a nuotare… A nuotare non c’era partita, aveva ragione lui. La sera a casa, ripensando a quella gara, andai a cercarmi i versi di Ovidio su Leandro che traversa ogni notte l’Ellesponto per amore: “Venti avversi o mari tempestosi non possono fermare chi da Amore è sospinto”. Era questo che lo aveva fatto vincere, il segreto di Leandro. Io ventiquattro anni, Natale sessanta, e mi aveva stracciato. Perché Natale era, e lo sarebbe stato fino alla fine, sospinto da un Amore per la vita e da una curiosità impareggiabili. Curiosità che nell’elemento marino per lui così naturale – come nelle relazioni umane, come nelle passioni intellettuali e sentimentali – diventava straripante energia vitale. L’energia che ci permette di tenere a bada “la vita che ci dolora accanto” e che ci fa pensare al futuro anche quando guardiamo la morte negli occhi.
La forza che ci consente di diventare ogni giorno giovani a dispetto della carta d’identità: perché diventare giovani è una cosa che non si smette di imparare. La forza che ci trattiene giovani e attaccati alla vita fino all’ultimo nostro respiro è la libertà e la voglia di rimanere curiosi.
Venti anni dopo mi  scrisse nella dedica al suo volume di poesie intitolato In viaggio (2011): “perché la curiosità del mondo (e della letteratura) ci porti sempre con sè“. Esser curiosi della vita, fino alla fine, è segno che la vita, in tutte le sue manifestazioni, la amiamo senza condizioni. E la letteratura, nostra enorme comune passione, dinanzi alla sacralità e alla pluralità della vita può pure rimanere tra parentesi, sebbene senza di essa, come mi ha insegnato, ci sarebbe molto più difficile afferrare l’ampio spettro del mondo.

Così voglio ricordare Natale Tedesco, maestro e amico della metà adulta della mia vita. Natale se ne è andato il 13 ottobre scorso. Una lunga malattia tenuta a bada finché è stato possibile, che lo ha fiaccato negli ultimi mesi, ha provato ad offenderlo, ma non lo ha sconfitto. Se ne è andato serenamente, mi ha raccontato la moglie Mimì. Natale il Professore emerito di Letteratura italiana dell’Università di Palermo, Natale il saggista e lo studioso sagace e appassionato, Natale l’intellettuale militante profondamente coinvolto nella realtà e nella storia politica del suo Paese, Natale amante e critico d’arte raffinatissimo, Natale che sapeva coltivare come pochi l’arte e la virtù dell’amicizia, Natale profondamente innamorato della vita. Così è stato ricordato dalla moglie, dai figli, dai tanti amici, allievi, colleghi durante la commemorazione nella Sala degli Specchi di Villa Palagonia che ha preceduto lo svolgimento dei funerali religiosi, il 14 ottobre. Una commemorazione, per molti versi gioiosa, che certo Natale dall’alto ha accompagnato con una delle sue fragorose risate. Anche per questo mi pare giusto accompagnare il viaggio , forse l’ultimo, chissà, di Natale con l’auspicio che l’eleganza del suo gesto intellettuale, la grazia del suo gesto di nuotatore, trovino spazio ancora a lungo in quella piccola provincia di paradiso che è la memoria di tutti noi che lo abbiamo conosciuto e gli abbiamo voluto bene davvero. Quella piccola provincia di paradiso alle porte della quale Natale Tedesco non smetterà di bussare. Knockin’ on heaven’s door, impareggiabile Natale.
 
Avanza il mare alle mie spalle:
l’onda bianca, l’onda alta.
Se mi giro a guardare, spumeggia
dilagando per l’aperta spiaggia.
 
L’orizzonte è fermo ai tuoi occhi
ma il mare ci spiana, ci supera,
sprofonda la nostra presenza stupita
con l’alga e i rosi sassi.
Natale Tedesco
 
 
 
Post Scriptum: Unica nota stonata, che ha suscitato amarezza e sconforto – durante il funerale di Natale Tedesco a Bagheria – l’assenza di rappresentanti del governo cittadino. Un segno del presente, si dirà, questa assenza; ma un segno di cui si sarebbe fatto volentieri a meno. Perché è anche sembrato il segno di una indifferenza  e addirittura di una incomprensione per la città, per la sua storia, che addolorano più di quanto possano indignare.
 

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