di Nino Fricano
Tutti antimafiosi siamo, tutti per la legalità. Ma com’è che succedono sempre le stesse cose?
Dal 1992 (Falcone e Borsellino) in Sicilia c’è stato il trionfo della retorica antimafia, delle marce e delle manifestazioni per la legalità, dei convegni, dei comunicati, delle dichiarazioni, degli slogan. Parole, facciate, recite. I politici hanno presto imparato a dire le parole giuste al momento giusto.
I risultati? La faccenda Coinres, consumata negli ultimi anni, è emblematica.
Dopo anni e anni di parole inutili ecco il risultato: un disastro economico, un disastro ambientale, un disastro culturale.
Debiti da far paura, assunzioni clientelari, infiltrazioni mafiose.
Si sono mangiati tutto: i soldi, la terra, la dignità.
E quel che resta – dopo la consumazione del disastro – è un territorio distrutto, le casse pubbliche sull’orlo del crack e soprattutto i cittadini sempre più incattiviti, rancorosi, messi uno contro l’altro da una politica criminale.
Dividi e comanda all’ennesima potenza.
Non ci sono stati tanti morti, non ci sono più le bombe, il tritolo, gli occhi puntati di tutta la nazione e di tutto il mondo sulla nostra isoletta, ma c’è qualcosa – dentro le nostre vene, sotto i nostri piedi – qualcosa di profondamente inquietante, un Orrore difficile da raffigurare.
Per questo la storia siciliana degli ultimi venti anni dev’essere raccontata.
Con semplicità, chiarezza e senza tutti gli orpelli – le sclerotizzazioni formali – della non-comunicazione giornalistica, ormai autoreferenziale, quasi incomprensibile.
Quel che è successo è molto semplice. Di una elementarità e una banalità che fa schifo pensare di essere cresciuti in una terra in cui ha comandato chi ha comandato.